Come accedere ai luoghi del bambino e come rispettarli?
Come alleviare il disagio dei genitori nelle relazioni primarie con i figli?
Nella mente della psicoterapeuta cominciano ad addensarsi alcune domande e affiorare floride intuizioni che daranno via al dopo della storia qui raccontata: la creazione di un modello terapeutico per il trattamento dell’autismo.
Per raggiungere il bambino e fornirgli le risposte di cui necessita le sole parole non possono essere sufficienti; occorre promuovere il corpo del terapeuta a strumento terapeutico, simbolizzare la materia, renderla pensabile e plasmarla…
Ci sono storie, nella vita professionale di uno psicoterapeuta, che segnano un prima e un dopo, perché costringono a mettere in discussione le poche certezze raggiunte e innescano intuizioni e processi mentali in grado di aprire a visuali inedite e inattese, promuovendo evoluzioni, tuttavia, coerenti.
La storia narrata in questo libro appartiene ai punti di svolta di questo genere.
Elisa, una donna di 30 anni e madre di una bambina autistica, chiede l’aiuto perché sconvolta dalla diagnosi appena ricevuta. La sua sofferenza e il suo disagio sono tali da impedire l’avvio (e anche il senso) della terapia della bambina.
Negli incontri con lei diventa subito chiara la collusione tra le fantasie inconsce, sue e del marito, sul bambino e la figlia reale. È lo scoglio più duro, perché la cura richiesta per la figlia risponde all’esigenza di proteggere, inconsciamente, il bambino interno, ferito e troppo precocemente abbandonato, dei genitori.
Si procede a piccolissime prese di consapevolezza. Elisa viene sostenuta a sintonizzarsi con la figlia, la cui vulnerabilità rende difficilissimo ogni contatto; le viene dato un tempo e un luogo per elaborare la ferita narcisistica che la diagnosi ha inflitto e per poter iniziare una nuova relazione con la bambina. Il padre viene incoraggiato a sostenere questa relazione, proteggendola dalle pressioni sociali…
È un racconto sulle vicende psichiche che hanno dato vita a uno spazio analitico. La narrazione si interrompe proprio nel momento in cui la bambina reale ha potuto essere differenziata da quella «fantasmatica», che i genitori avevano portato in terapia, consentendo il vero inizio della sua terapia.