Le istituzioni sponsorizzano attività ad alto rischio,
come il gioco d’azzardo, e poi
– consapevoli degli effetti che provocano –
si impegnano a curare chi ne è vittima.
È stata definita la pandemia del III millennio, perché il contagio si è diffuso velocemente tra giovani e meno giovani, scegliendo le sue «vittime» tra le fasce sociali più fragili, quelle che sognano di risolvere i loro problemi con un colpo di fortuna. In questa atmosfera interiore di disagio e di legittima aspirazione a godere di un benessere maggiore prende forma il gusto del gioco e l’ostinazione a continuare a giocare finché la fortuna non si deciderà a fare la sua parte.
Negli ultimi anni è aumentato il numero dei giocatori presenti in area di rischio. Si sono accentuati quei fenomeni di carattere economico e psicosociale che trasformano velocemente il soggetto da giocatore sociale in giocatore patologico. Si tratta di una sorta di disabilità cognitivo-comportamentale appresa attraverso un meccanismo di coazione a ripetere, i cui effetti possono essere drammatici per il soggetto, per la famiglia e per tutta la società, con un effetto contagioso che si estende a cerchi concentrici.
Questo è un libro sul gioco d’azzardo rivolto innanzitutto alle persone a rischio, a coloro che cominciano a sentire il bisogno di giocare e si innervosiscono quando non possono farlo. È dedicato alle loro famiglie, che spesso non sanno come gestire la situazione. E a quanti fanno politica, cominciando dai comuni e dai loro sindaci che, concedendo le licenze necessarie per aprire nuovi locali o nuovi punti-gioco, si assumono concrete responsabilità. A loro tocca far rispettare la normativa vigente. Imparare a riconoscere i segnali d’allarme che richiedono un intervento precoce ed efficace è diventata la nuova frontiera della responsabilità sociale e dell’etica d’impresa, applicata a questo ambito. Tutti conosciamo qualche giocatore appassionato che ci incuriosisce per le sue abitudini e desta anche una certa qual preoccupazione. L’importante è saper cogliere in lui i segnali di un crescente disagio, per condividere almeno in parte quel tragitto delicato che lo aiuti a decidere di curarsi. A disintossicarsi senza dover necessariamente mettere a repentaglio affetti familiari, lavoro, patrimonio personale. È una nuova forma di solidarietà a cui siamo tutti chiamati con delicatezza e discrezione, per spezzare il circolo vizioso della dipendenza dal gioco.
di Paola Binetti