«Il rito non appartiene a nessun ambito specifico dell’esistenza.» – scrive Claudio Widmann – «Non è esclusivo del sacro né del profano, non è prerogativa dell’uomo religioso né di quello secolare; non è fenomeno unicamente soggettivo, né unicamente collettivo, non ha scopi solamente propiziatori né solo gratulatori. Il rito appartiene alla normalità e alla patologia; è presente nelle culture arcaiche e nella civiltà postindustriale; è praticato da persone ingenue e superstiziose e da persone intellettuali e razionali. Il rito è dell’uomo».
Nell’antropologia, con i suoi riti agrari, nella patologia, con rituali ossessivi eseguiti negli ospedali psichiatrici, nella terapia, con il setting rigoroso della stanza dello psicoanalista, nei momenti cruciali dell’esistenza, con i riti di nascita e di morte, quelli di passaggio all’età adulta, il matrimonio, l’ingresso e l’uscita dall’attività lavorativa… la vita dell’uomo è satura di comportamenti rituali. La loro estensione è universale e la loro presenza attraversa i tempi. Avvolti da una particolare tonalità emotiva, i riti trasfigurano le persone, luoghi, oggetti e azioni della quotidianità. Attraverso il rito l’individuo entra in una dimensione che lo sovrasta, e fa esperienza delle realtà transpersonali. La maschera e il travestimento trovano nel rito le loro ragioni storiche e soprattutto psicologiche.
Gli autori dei saggi qui raccolti, in un excursus che attraversa diversi ambiti dell’esperienza umana, del rito analizzano il suo carattere simbolico, le sue potenzialità strutturanti, trasmutative e terapeutiche. Dimostrano come il rito accompagni l’evoluzione psichica individuale e collettiva e come la molteplicità dei riti partecipi alla formulazione dell’identità dell’uomo.