«Io non predico una nuova religione; per far ciò dovrei perlomeno richiamarmi, secondo l’uso tradizionale, a una rivelazione divina. Sono essenzialmente medico che ha a che fare con la malattia dell’uomo e del suo tempo».
«Io parlo semplicemente da filosofo. Sono stato a volte definito un capo religioso, ma non lo sono. Non ho un messaggio da portare, una missione da compiere; mi sforzo soltanto di capire. Noi tutti siamo filosofi nell’antico senso del termine, siamo amanti della saggezza. Questa basta a farci evitare la compagnia a volte discutibile di coloro che offrono una religione».
L’aspetto più insolito della percezione di Jung è il fatto che poche altre figure nella storia intellettuale del XX secolo sono state altrettanto fraintese. Le interpretazioni erronee o inesatte della sua opera si perpetuano e Jung viene continuamente reinventato in modo stereotipato.
Sonu Shamdasani affronta e analizza l’accusa rivolta a Jung di aver rivisitato in veste moderna gli antichi sistemi filosofici e religiosi e di aver inaugurato – con la fondazione del Club Psicologico – il proprio culto avviando così il processo di autodeificazione. Alla base delle accuse vi è un documento inedito del 1916, falsamente attribuito a Jung e indicato come il suo discorso inaugurale alla fondazione del Club Psicologico, istituzione che avrebbe quindi dovuto dedicarsi alla promozione del suo culto. Sonu Shamdasani, ripercorrendo le finalità e le ambizioni di Jung rispetto al proprio operato e le riformulazioni del suo pensiero a opera dei suoi allievi, dimostra l’infondatezza delle accuse. La minuziosa indagine dell’autore ricostruisce la storia della psicologia analitica e dimostra come queste affermazioni sono tra le più assurde mai sostenute sul conto di Jung e come esse tradiscono l’incapacità di capire la sua opera.